Aspettando la Pasqua… a tavola!

Salve a tutti!!! Mancano pochissimi giorni alla Pasqua e mentre aspettiamo vi voglio parlare di alcune pietanze tipiche pasquali della mia amata Italia, che ho avuto modo di assaggiare e sicuramente vorreste provare anche voi!

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Iniziamo il nostro viaggio culinario dall’Abruzzo con i Fiadoni o Fiaùni, un tipico prodotto che si prepara per il periodo pasquale, ma che può essere consumato tutto l’anno. Si tratta di sfoglia tagliata a forma di raviolo con un ripieno che può essere sia dolce che salato ma sempre con una base di formaggio, più stagionato con il Rigatino o il Pecorino oppure più fresco come la ricotta di pecora o di mucca, il tutto mescolato con uova e spezie varie, noce moscata, pepe o addirittura zafferano tipico del comune de L’Aquila. Esiste anche la versione molisana chiamata Casciatello con una forma più tonda, anch’essa dolce o salata con un ripieno che varia dai formaggi e salsiccia all’uvetta e canditi. Questa prelibatezza cotta al forno con il formaggio che ti si scioglie in bocca insieme al sapore dolce o salato dell’ingrediente aggiunto ha il riconoscimento PAT (prodotti agroalimentari tradizionali).

Continuiamo alla scoperta della Sardegna e il suo pane particolare, chiamato Cocoi a pitzus o solo Cacoi, fatto con semola di grano duro. La sua unicità sta nella sua forma di solito tonda o a semicerchio con mollica bianca e compatta e all’esterno una crosta dorata e croccante con delle sporgenze (pitzus) lavorate a mano formando tagli, tornamenti e decorazioni fatti con forbici, pinzette, aghi e tanti altri piccoli oggetti. La tradizione dice che, questo pane pregiato, veniva preparato per importanti ricorrenze e per esprimere auspici di speranza, fertilità e fortuna e con l’aggiunta di un uovo intero non sgusciato anche l’augurio di una buona Pasqua (cocoi cun s’ou o coccoi de Pasca). Le famiglie che in passato non si potevano permettere le uova, mettevano le mandorle rendendo il pane un po’ più dolce ma sempre semplice e gustoso. Questo pane così bello da vedere, quasi dispiace mangiarlo e rovinarlo, è anch’esso riconosciuto PAT.

Andando verso il dolce si passa dalla Toscana e la sua, come la definisco io, ma molti saranno d’accordo con me, schiacciata non schiacciata, chiamata appunto Schiacciata di Pasqua caratteristica soprattutto di Pisa e Livorno. La sua nascita risale alla seconda metà dell’Ottocento, dalla tradizione culinaria di un piccolo borgo contadino sul confine delle provincie di Pisa, Lucca e Firenze chiamato Fucecchio; le famiglie decisero di utilizzare grandi quantità di uova per fare un dolce che potesse rappresentare e festeggiare al meglio la Pasqua. La schiacciata, che veniva prodotta dalla Quaresima fino alla Pentecoste, è un vero pane dolce preparato con pasta di pane, uova, zucchero e aromi vari, tra cui molto tipicamente l’anice. La sua unicità è rappresentata dalla lavorazione e dalla lunga fermentazione naturale, un tempo ottenuta grazie alla presenza di grandi bracieri che emanavano calore e con il quale veniva anche cotta. Proprio per questo il nome può dare confusione perché non è per niente simile alle altre focacce locali ma anzi ha la forma tonda che somiglia molto a quella del panettone. Tra i suoi ingredienti si può trovare anche il Vin Santo, miele, arancio e limone per dare veramente un gusto unico e molto dolce nel suo genere.

Altro dolce, proveniente dalla Sicilia, che rappresenta a pennello la Pasqua e ha il nome di uno dei piatti più mangiati durante il medesimo giorno, Agnello pasquale ma dolce perché fatto di pasta reale (pasta di mandorle) e pasta di pistacchio tipico della zona di Favara ma ormai diffuso in tutta la regione. La storia narra che le prime ad aver preparato questo dolce furono le suore del Collegio di Maria nel quartiere Batia a Favara. La ricetta venne tramandata di suora in suora ma la più antica risale al 1898 appartenuta ad una famiglia favarese della borghesia dell’Ottocento. Il dolce non si diffuse moltissimo fino al 12 maggio 1923 quando il monsignor Giuseppe Roncalli in visita ad Agrigento, di ritorno a Roma passò da Favara e approfittò dell’occasione per assaggiare l’Agnello pasquale preparato da suor Concetta Lombardo. Il gusto venne così tanto apprezzato che anche 40 anni dopo, il vescovo Calogero Lauricella, durante il suo viaggio si recò a Favara dove assaporò e condivise con tutti il suo sapore particolare. La tradizione di questo dolce è stata tramandata fino ai giorni nostri e grazie a ciò Favara è stata nominata la “Città dell’Agnello pasquale” e istituita una sagra che viene tenuta appunto nel periodo di Pasqua al Castello Chiaramonte della città. Addirittura nella sagra del 2003 fu realizzato un agnello di 202 kg entrando nel Guinness dei primati. Ovviamente il gusto è molto dolce simile alla frutta martorana e strutturato così bene che fa quasi sembrare l’Agnello una statuetta da ornamento.

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Tutto questo mi rende sempre molto impaziente l’attesa del periodo Pasquale, gustare queste prelibatezze preparandole insieme alla famiglia e godendo appieno del momento, sperando un giorno di poter tornare attorno a grandi tavolate di amici e parenti come una volta.

A presto

Rachele Morganti

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