A tavola con la Sardegna

Salve a tutti!! Oggi faremo una bella mangiata sarda con piatti e bevande tipiche della tradizione isolana e vi sembrerà strano ma anche qui, in Sardegna, ho dei legami e ho avuto la possibilità di visitarla e assaggiare alcune delle loro prelibatezze tra cui quelle di cui vi parlerò oggi.

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Iniziamo con bel primo piatto particolare e diverso dai suoi simili, chiamati i Colurgiònes nati dalla cucina tipica della subregione barbaricina dell’Ogliastra e diffusi in tutta l’isola creando anche delle varianti come quella della Gallura (aggiunta di scorza di limone o arancia). In tutta la regione li potrete sentir chiamare in diversi modi, in base ai diversi dialetti, tra cui uno dei più conosciuti è Angiolotus ma si tratterà sempre di: pasta ripiena, tipo ravioli, con una farcitura a base di patate, pecorino e menta conditi e serviti solitamente con sugo al pomodoro e una spolverata di formaggio di pecora. La caratteristica che li rende così unici nel suo genere è proprio la tipica chiusura chiamata Sa Spighitta che rappresenta il simbolo del grano per propiziare la nuova annata agraria a fine agosto. Nel paese di Ulassai sino agli anni ’60 la tradizione voleva che i culurgiònes venissero consumati solo ed esclusivamente il giorno dei morti, Sa di’ de sos mortus, il 2 novembre perchè in tutta l’Ogliastra e nei paesi di Sadali e Esterzili della Barbagia di Seulo, i culurgionis non sono considerati solo un alimento, ma un dono prezioso, segno di stima, di rispetto ed amicizia. Venivano preparati anche per altre ricorrenze particolari come il ringraziamento o alla fine del raccolto del grano, per ricordare ed onorare i morti, il giorno della commemorazione dei defunti a novembre e per festeggiare il carnevale a febbraio. Venivano anche considerati amuleti che proteggevano la famiglia dai lutti. Inoltre dal 2015 i “Culurgionis d’Ogliastra” sono stati riconosciuti come prodotto IGP. Vi confesso che quando li ho mangiati la prima volta è stata una festa per il mio palato e anche per chi non fosse un amante della menta come me, vi assicuro che, da quel che di giusta freschezza al gusto.

Continuiamo dolcemente con un morbido involucro di semola, all’interno un cuore di formaggio di pecora e accompagnato da una spruzzata di zucchero o un filo di miele, tutto questo ben di Dio, forma la Seada. Erroneamente ritenuto un piatto di origine spagnola, deve invece il suo nome alla cebada cioè una graminacea nota in Sardegna sin dal Paleolitico, coltivata in larga scala in epoca nuragica e soprattutto ai tempi dell’antica Roma. Secondo altre testimonianze il termine Seada potrebbe anche derivare dal grasso animale degli ovini che in origine veniva utilizzato per la realizzazione del piatto. La nascita della Seada può essere condivisa tra le montagne dell’Ogliastra settentrionale, tra quelle della Barbagia di Ollolai e in particolare tra i paesi di Dorgali e Urzulei ma essendo un prodotto a base di formaggio la sua diffusione è da ricercare anche nelle altre zone dell’isola tradizionalmente legate alla pastorizia, quindi tra il Logudoro e le Baronie. La seada è attualmente considerata un dolce, anche se in origine rientrava tra le pietanze principali, tanto da poter sostituire un secondo piatto. La preparazione di questo dolce vuole molta esperienza, tramandata in famiglia attraverso le generazioni, basata sulla perfetta frittura senza la fuoriuscita del formaggio ed infine la sfoglia immersa nel miele riscaldato, servita sul piatto e mangiata prima che il ripieno si raffreddi e solidifichi. Si accompagna egregiamente a vini dolci bianchi ed aromatici. Penso sia davvero un dolce particolare con quell’unione di dolce-salato perchè all’esterno è dolce e poi lo mordi e senti il salato del formaggio, veramente delizioso.

Come già detto un buon pasto va finito con un bel bicchierino di liquore e uno dei più tipici della Sardegna è il liquore di mirto, detto semplicemente mirto o mirto rosso. Si ottiene dalla macerazione alcolica delle bacche pigmentate mature del mirto rosso o di un misto di bacche e foglie. Le origini di questo prodotto sono antichissime, risalgono fino alla tradizione popolare dell’Ottocento quando nelle famiglie si produceva il vino di mirto dalla macerazione idroalcolica delle bacche mature. Per la macerazione si utilizzava una miscela di alcool e acqua o, più probabilmente acquavite e acqua oppure lo stesso vino. Al termine del periodo di macerazione all’estratto si aggiungeva zucchero o miele per dolcificarlo. La denominazione ufficiale, adottata dalla Regione Sardegna e dall’associazione dei produttori, è quella di Mirto di Sardegna e proprio per le sue proprietà s’inserisce fra i digestivi, pertanto va gustato dopo i pasti, anche se molte persone lo gradiscono come aperitivo. Il modo migliore di apprezzarlo è consumarlo ghiacciato, versato da bottiglie tenute ad almeno meno 18 gradi. Inoltre gli isolani usano i rami del mirto per insaporire il Porceddu appena finita la cottura e in alcune pasticcerie sarde usano il liquore nell’impasto di farcitura dei cioccolatini. Il suo colore è tanto scuro quanto è forte il suo sapore, data la sua gradazione sui 30° circa e subito dopo un caffè è perfetto, con quel suo gusto dolce-amaro e a volte con un retrogusto un pò aspro.

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Quanta fame che ho adesso… non vedo l’ora di tornare un giorno a mangiare queste delizie, non solo per lo stomaco ma anche per la bellezza dei piatti. Spero che anche voi ne avrete la voglia e vi assicuro che rimarrete sbalorditi dall’immense tradizione culinaria di questa regione.

A presto

Rachele Morganti

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